ITALIA. Dal periodo post bellico alla lotteria che rese celebre Merano nel mondo; Pio Bruni, Richard, fino alla storia contemporanea, la narrazione di Rinaldo Innocenzi sulle vicende che hanno visto Maia superare le gravi difficoltà del passato

La minaccia del presidente Martone di interrompere la riunione 2020 dopo il 5 luglio, giustificata dalle gravi carenze normative che dovrebbero essere un diritto, per un ippodromo come Maia di specializzazione prettamente ostacolistica è senza nessun altro paragone in Italia; come la famigerata convenzione Deloitte sempre tirata in ballo che dovrebbe riconoscere e tanti danni ha già fatto un po’ a tanti degli impianti italiani. Torniamo indietro di cinquanta anni circa quando la società che gestiva Merano si trovò in gravi difficoltà economiche e sull’orlo del fallimento. Allora però gli Steeple Chases d’Italia avevano alla testa un uomo come Pio Bruni che prese a carico dell’ente tecnico la salvezza dell’ippodromo; era però un uomo che oltre all’eroica partecipazione alla Carica di Isbuchenskji aveva trattato la resa nell’aprile 1945 con Mussolini, il beato cardinale Schuster, il generale Cadorna e che quindi non mancava del coraggio di prendere delle decisioni. Bruni, allora coadiuvato principalmente dall’amministrativo Marsili, organizzò un gruppo di lavoro che tra Merano, Roma e Milano sovraintendeva al controllo della riunione e tutto ciò portò al proseguimento della stagione per poi bandire il nuovo concorso per la conduzione futura. Adesso non pretendiamo che da Roma nascano altri Pio Bruni, però un po’ di coraggio potrebbe portare un giusto riconoscimento per la gestione Martone che ormai da otto anni ripiana il passivo a spese dei soci. Con un breve excursus storico dobbiamo ricordare che Merano nacque nel 1935 per un’intuizione del governo dell’epoca che proseguì poi per tanti anni, fior all’occhiello dell’ostacolismo italiano, abbinata anche alla famosa lotteria che fece conoscere Merano nel mondo.

CARTOLINA LOTTERIA MERANO

Durante l’ultima guerra Merano diventò un campo di concentramento con le piste coltivate a campi di patate e le tribune adibite al rifugio dei prigionieri ma, come l’Araba Fenice, nel 1947 rifiorì a nuova vita con la passione di dirigenti come Piero Richard e di amici come Ezio Vanoni. Inventiamoci qualcosa ma non permettiamo assolutamente che Merano debba morire perché sarebbe la fine dell’ostacolismo e di tutta l’ippica: è un delitto di lesa maestà.

(Nella foto Merano)

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